Blumarine, sinonimo di eleganza, tessuti impalpabili e atmosfere
da sogno ci è cascata.
E’ precipitata nel tunnel dell’innovazione che però vuol
dare uno sguardo al passato, ma non così passato da chiamarlo vintage, al recupero
di stili e materiali superati.
Ma questa filosofia del “tutto torna”, “la storia è ciclica
e la moda pure” non sempre garantisce successo.
Adoro Blumarine e l’apertura della sfilata autunno inverno
sembrava promettere bene: look total white con pellicce colorate e borse in
tinta. Immediatamente il pensiero andava alle montagne innevate, alla
cioccolata post sci o al tagliere di salumi abbinato ad ad un calice di vino
come aperitivo in uno chalet d’alta quota.
Ma la cruda realtà interrompe prepotentemente questa visione onirica.
La sfilata poi cede il passo a tessuti tecnici, colori
argentati, un po’ cyber e un po’ disco dance, alcuni al limite dell'accettabile, altri
orribili.
Sfido chiunque a dire il contrario:
Segue un total black, che siccome il nero è passepartout ci
vuole sempre. E sembra far digerire il pantaloncino argentato su tuta maculata appena visto.
Infine il trionfo degi primi anni 90, del tessuto spalmato, del
look disco dance trash, dell’ombelico fuori e degli accessori da regina del
ghetto. Ma che ci azzecca, dico io, con tutto il resto?
Tailleur e impermeabili in pvc, rigidi, che solo a vederli
si capisce che sono scomodi, anfibi e stivaletti con tacco a spillo argentati
multicolore che riflettono la luce, t-shirt con pancia scoperta, catene al
collo che manco 50 cent, anelli e bracciali color arancione e giallo fluo.
Una sfilata incoerente con un finale da incubo!
A.
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